Dal volume "Viaggio in Terra di Brindisi" di Angela Marinazzo
Chiesa Matrice - Foto coll. Pennetta
I Romani popolarono l'agro mesagnese di numerose 'villae rusticae' che dovettero durare fino al tardo Medioevo: ne sono stati rinvenuti i resti nei pressi delle masserie Moreno, Partenio e Campofreddo. Con la fine dell'Impero Romano d'Occidente (476 d. C.) anche Mesagne passò ai Bizantini, che - secondo la tradizione - la cinsero di mura. Nel X secolo fu quasi del tutto distrutta dalle incursioni barbariche; si riprese solo con i Normanni, allorché nel 1062 Roberto il Guiscardo fece costruire l'unico torrione a pianta quadrangolare del castello, che - rinforzato verso il 1430 con due torrette dagli Orsini del Balzo - fu restaurato e ampliato nella prima metà del sec. XVII da Giovanni Antonio Albricci, principe di Mesagne. La costruzione subì profonde modifiche nel 1750 ad opera del marchese Barretta, feudatario dell'epoca, per riparare i danni causati dal terremoto del 20 febbraio 1743: furono allora aperte le otto arcate del primo piano. Adattato a residenza dai marchesi Granafei, ultimi proprietari privati dai quali ha preso il nome, il castello appartiene ora al Comune che lo utilizza come Museo Archeologico Civico, meritevole di una visita, in particolare per la collezione epigrafica e l'interessante corredo funerario di una tomba a semicamera.
Divenne feudo prima degli Svevi e degli Angioini, poi degli Aragonesi che la cinsero di mura. Durante il Risorgimento vi fu istituita la vendita carbonara "I Messapi Liberi", a dimostrazione della sua attiva partecipazione ai moti rivoluzionari.
A settentrione, nei pressi del castello, è Porta Grande, ricostruita nel 1784 dov'era la precedente del XVI secolo, dalla quale si accede al borgo antico. Dalla Porta Nuova, costruita nel 1605 e riedificata nel 1702, si entra invece nel borgo nuovo: è ad unico fornice, ornamentale più che difensiva, con stemmi e iscrizioni sul fastigio. Un'altra Porta, chiamata Piccola, che si trovava a Sud-Ovest, fu demolita nel 1834.
Il palazzo Scalera, costruito verso la metà del sec. XVI, decorato nel piano attico da una lastra su cui è scolpita l'arma della famiglia, ripropone lo schema dell'ingresso fortificato con torre soprastante. Il barocco palazzo del Comune, una volta convento dei Celestini, fu costruito nel XVII secolo.
Nel borgo antico è la Chiesa Matrice dedicata a tutti i Santi, che - costruita tra il 1650 e il 1660 sulle basi di due precedenti chiese dei secc. XIV e XVI - ha un'imponente facciata barocca in càrparo e pietra bianca, spartita in tre ordini di cornicioni e scandita da paraste ioniche e corinzie. Particolari effetti di chiaroscuro sono creati dalle profonde nicchie scavate tra le paraste, con statue di santi. Sul portale principale sono le statue di S. Eleuterio, S. Antea e S. Corebo, protettori della città. Ha l'interno ad unica navata con transetto e coro; sotto il presbiterio è la cripta, che custodisce un pregevole crocefisso ligneo del XVI secolo e due tele che rappresentano la Madonna del Carmine (sec. XVIII) e la Natività di Gian Pietro Zullo (sec. XVII).
La chiesa del Carmine, nei pressi della stazione ferroviaria, è di età romanica, e fu quasi completamente riedificata sulle stesse basi, nel sec. XIV. Tra sovrastrutture del sec. XVI, presenta forme architettoniche tardo-gotiche che ricordano la chiesa di S. Maria del Casale di Brindisi. Vi si accede da un elegante portale, e l'interno conserva ricchi altari barocchi e una tela, restaurata in tempi recenti, della Madonna del Carmelo di Francesco Palvisino, dipinta qualche anno dopo la fondazione del convento, avvenuta nel 1521. Sotto il pavimento sono i resti di un ipogeo con tracce di affreschi e grotte di un antico insediamento anacoretico. Secondo la tradizione, in quel luogo sarebbe stato - nell'alto Medioevo - un santuario dedicato all'arcangelo Michele.
La chiesa dell'Annunziata, che fu costruita una prima volta dai Domenicani dopo il 1548, ha un portale elegantemente scolpito (oggi inserito nella parte esterna del coro della chiesa attuale, iniziata nel 1702), che è uno dei maggiori esempi di arte rinascimentale della provincia: è datato 1555 e firmato da Francesco Bellotto. Nella sua sacrestia è una tela di San Lorenzo da Brindisi, senza l'aureola di santo, probabile opera del pittore leccese Oronzo Tiso. La preziosa pisside del XV secolo, con l'arma della città di Brindisi (le due colonne), proviene dalla distrutta chiesa di S. Maria del Ponte di Brindisi, ove furono i Padri Premonstratensi.
Particolare della chiesa di S.M. in Betlemme
Foto coll. Pennetta